CHE COS’È IL BIOLOGICO

Estratto del libro Rivoluzione al Femminile. Percorsi per la donna oltre il Femminismo

di Daniela Cecchi
Il secolo scorso è stato caratterizzato da un’accelerazione senza precedenti della ricerca scientifica, da cui è scaturita un’indagine su tutte le specie che compongono la vita: dall’uomo – con i suoi apparati – ai più piccoli esseri viventi, sezionati per evidenziare l’infinitamente piccolo, nella struttura come nella fisiologia. È stato indagato profondamente anche il funzionamento della psiche e tutte le potenzialità di strutturazione e ristrutturazione della realtà interna ed esterna che la plasticità e la ridondanza del cervello umano consentono.
Una delle esasperazioni di questa modalità analitica ha spinto la medicina a curare gli organi interni come se fossero separati gli uni dagli altri e privi di elementi chimici e biologici – tantomeno psicologici – interconnessi.
Gli specialisti conoscono solo l’ambito biologico dell’organo studiato e pretendono di curare le patologie senza tenere conto della relazione di questo con il tutto.
La psicologia cerca di ricostruire pensiero e senso della vita di individui che hanno perso la direzione delle potenzialità del proprio sé, senza considerare che pensieri, emozioni, atteggiamenti risiedono nel corpo, sono anch’essi corpo e quando gli individui sono inadatti alla vita, le funzioni relative sono alterate.
Negli ultimi anni del secolo scorso ciò che ha dominato nella cultura quale eredità del pensiero cartesiano-newtoniano, è stato incrinato dall’energia innovativa scaturita dalla nuova fisica, in particolare dalla meccanica quantistica e dalla teoria della relatività; ciò ha determinato una revisione dell’idea che l’uomo possiede dell’universo e del proprio rapporto con esso riportando la fisica alla sua essenza etimologica di derivazione greca che evoca lo sforzo di scoprire la natura essenziale di tutte le cose.
Quindi l’apporto della fisica moderna ci conduce verso una direzione dove la visione del mondo non si discosta dalle concezioni delle filosofie occidentali, del misticismo orientale, dei miti e delle religioni: in questa ottica le scoperte scientifiche dell’uomo sono finalmente in armonia con le aspirazioni spirituali e con la fede religiosa.
Tutto ciò che rispetta la vita – quello che intendiamo come verità – è stato oggetto della ricerca e ha trovato la propria strada nel momento in cui la separazione.

Tra le materie filosofiche e scientifiche si è imposta nella cultura occidentale. L’uso che ne è stato fatto – con l’intenzione di curare l’uomo – ha prodotto molte macerie.
Che cosa ci siamo persi? Ci siamo persi tutto ciò che già si poteva intuire nelle espressioni mitologiche e filosofiche alle origini della nostra cultura ma che la scienza, fautrice della separazione delle discipline, ha confinato in secondo piano.
La comunità umana evolve e lo esprime in ogni singola espressione culturale, ed è artefice di quella co-creazione divina che integra lo spirito umano e lo trascende, inondando le singole coscienze.
La verità fa sempre fatica a essere integrata, perché contrastata da interessi e culture separate che credono di poter essere più potenti e utili alla vita.
Il rapporto uomo-universo si è andato via via descrivendo in termini di relazione e non più in termini di frammentazione in nome della specializzazione. La nuova visione della scienza che ne è scaturita, si presenta come “scienza della complessità”, in quanto il mondo naturale è un mondo di varietà e complessità infinite. Un sistema astratto come il pensiero razionale, non potrà mai essere sufficiente per descrivere o comprendere da solo questa realtà, in quanto si basa su categorizzazioni e classificazioni dell’intelletto che sono sempre relative e approssimate. La mente intuitiva ha il compito di subentrare a quella razionale e di integrare, armonizzandole, visioni differenti; solo così si potrà parlare di progresso della scienza.
Affinché la mente intuitiva possa lavorare su una visione complessa della realtà, è necessario che la conoscenza dell’individuo si basi su una visione olistica, dove il mondo oggettivo non deve mai essere separato dalla nostra psiche; gli scienziati stanno tentando di raccogliere in una visione globale tutte le infinite reti informative che definiscono i fenomeni naturali.
Una cultura della complessità implica la conoscenza di tutte le produzioni culturali dell’uomo (sia scientifiche che umanistiche) e una concezione dell’olismo non ristretta come quella che, applicata all’uomo, si limita a considerare l’organismo umano un sistema vivente i cui componenti – soma e psiche – sono in relazione. È necessaria altresì una concezione dove si riconosca l’organismo vivente come parte integrante di sistemi maggiori come l’ambiente fisico e sociale, con i quali esso intrattiene una continua interazione, dove il soggetto è modificato ma è anche in grado di modificare in profondità.
Una cultura della complessità, inoltre, è frutto di ogni ricerca scientifica e del dialogo tra tutte le discipline. La relazione consente di illuminare quanto il corpo ci racconta: il biologico è altro e oltrepassa ciò che mostrano il microscopio o le analisi chimiche. È il luogo dove accadono tutti gli eventi della vita, quelli chimici e fisiologici, così come quelli psichici e spirituali: i loro destini sono caratterizzati da un legame di senso, di significato – cioè di funzione – e di sincronicità.
Il legame profondo e inscindibile tra le funzioni del corpo, così come quello tra l’uomo e l’universo, purtroppo a lungo trascurati dalla cultura medica allopatica, sono oggi sottolineati da scienziati di tutte le discipline, umanistiche e scientifiche, che si riconoscono nel Manifesto del Nuovo Paradigma in Medicina.
In esso si afferma:
Alla base di tutto ciò che esiste nell’Universo c’è una precisa informazione: essa costituisce la matrice che origina le particelle e tutti i sistemi, compresi quelli viventi, che noi osserviamo. Il nuovo paradigma basato sull’informazione implica una profonda trasformazione nella coscienza della relazione Uomo-Natura, con un’inevitabile ricaduta negli studi di medicina e nella pratica terapeutica, destinata profondamente a rinnovarsi grazie all’evoluzione di questa visione olistica. […] la capacità di dare un senso all’informazione rappresenta ciò che chiamiamo coscienza […] la malattia pertanto sarà considerata come un disequilibrio informativo […] è necessario creare una nuova figura di terapeuta in grado di muoversi da una logica all’altra (simbolica e segnica).
Gli interventi che caratterizzano la cura di un individuo che non ha potuto nutrire e custodire il proprio corpo arrivando al disagio e alla malattia, devono necessariamente ridare senso e significato a quella vita: occorre inviare l’informazione corretta a quella cellula ammalata, a quell’organo che l’ha perduta. Il processo terapeutico si avvale sia dell’analisi psicosomatica capace di gettar luce e decodificare i messaggi provenienti dal corpo, sia degli elementi chimici opportuni per ricreare equilibrio, ridare informazione e direzione. È l’informazione che impronta e protegge la vita, in quanto costituisce un vero e proprio linguaggio che consente alle molecole di creare la cellula, alle cellule di comunicare, agli organi di dialogare e infine agli individui di relazionarsi con se stessi e con l’ambiente. Dobbiamo tener conto che l’uomo è un’unità complessa, portatore di una dimensione psichica, somatica e relazionale: tutti gli aspetti devono essere compresi nella correlazione tra corpo e psiche e tra l’inconscio personale e le figure archetipiche presenti nell’inconscio collettivo. Ci ammaliamo quando abbiamo perso tutte le informazioni sul senso della vita. Come ci insegna l’Ecobiopsicologia, il corpo racconta…

Il corpo si racconta nei miti

Il mito è la narrazione dello sviluppo della coscienza umana e della coscienza di sé nell’individuo. Ogni consapevolezza raggiunta dal singolo e dall’umanità sulle funzioni (che consentono la vita) e sulla loro relazione, è stata primariamente immaginata come un palcoscenico dove gli dèi, archetipi che si incarnano nelle funzioni, si rivelano. Lo sviluppo della coscienza umana, che si specchia nel collettivo, si cristallizza nell’evoluzione della singola personalità (l’Ontogenesi che ripercorre la Filogenesi). Quello che le varie mitologie raccontano lo troviamo nei simboli del mondo delle fiabe e dei giochi dei bambini. Anche le fiabe, come i miti, mettono in scena le funzioni che consentono la vita e i nodi fondamentali del loro relazionarsi, così come i momenti più delicati della crescita e dello sviluppo e della formazione dell’identità psicosomatica.
La psiche dell’individuo e la coscienza del collettivo si sviluppano in forme sempre nuove in termini di capacità di osservare, comprendere e interpretare le immagini che giungono loro dal corpo. L’archetipo è la forma prima – il verbo che si fa carne – che impronta di sé l’individuo, il quale ne avrà consapevolezza attraverso le immagini che le strutture-organi, catturate dalla propria vita, rimandano alla funzione che è a ciò preposta, la “psiche”.
L’archetipo accade in forma sovra-personale e trans-personale con le proprie leggi, che poi si concretizzano nel seme, fino a palesarsi, diventando pianta, metafora dell’individuo. Questa visione non obbliga ad aderire a uno schema predeterminato, bensì di conoscere se stessi per potersi rispettare e volersi bene in modo tale da far valere la propria libertà. Libertà di scoprire e di utilizzare tutte le potenzialità che la vita ha riposto su di noi.
L’esperienza tradizionale junghiana ci indica come il soggettivo si apra al collettivo: nel mito si raccontano le avventure e le disavventure dell’archetipo in divenire, quel mondo delle divinità che ha appassionato generazioni di studenti. Oggi, invece, è maggiore la consapevolezza del fatto che ogni archetipo consente a una funzione di accadere, raccoglie in sé l’essenza della funzione che ha in comune con il collettivo, la impronta e lascia che si esprima con le modalità utili a ciascun individuo. La “funzione respirazione”, ad esempio, accade nelle piante, negli uomini e negli animali, e si cristallizza nella necessità di una relazione con un collettivo (a seconda dei casi un “tutto” formato da ossigeno o da anidride carbonica).
Anche la “funzione nutrimento” si realizza con modalità diverse negli esseri viventi, ma sarà sempre un’introiezione del mondo alimentare e relazionale per la vita del singolo individuo e per il contributo di questi al tutto: prendere e restituire.
Immagini archetipiche primarie e fondamentali nell’accadere della vita sono quelle che si definiscono come Animus e Anima, quel maschile e quel femminile che consentono a ogni funzione di esistere. Ogni evento fisiologico ha delle modalità di espressione che necessitano di tratti al maschile, come la determinazione, la forza, la direzione e di tratti al femminile, come la ricettività, l’accoglienza, il nutrimento. Che cosa significa? Che ogni evento fisiologico scaturisce da modalità al femminile e al maschile che si uniscono per dar vita ad altro, che va oltre, ciò di cui quell’organismo ha urgenza in quel momento. Le caratteristiche Animus e Anima indicate dal biologico sono archetipi da rispettare non solo in ogni organo e funzione ma anche nella gestione del corpo, simile ma non uguale, di uomini e donne; in quanto non è uguale il biologico, non è uguale lo psichico e quindi non lo sono i bisogni (corrispettivo psichico degli istinti).
Per la funzione nutrimento è necessaria l’accoglienza – tratto al femminile – del cibo nel cavo orale, così come il morso – tratto al maschile – dei denti che spezzettano il cibo e lo direzionano verso la digestione. Qui si verificherà un momento di nuova accoglienza dello stomaco – sacco ricettivo al femminile – finalizzato all’azione dell’acido cloridrico che, con modalità maschili, compirà una scissione dei pezzetti di cibo nei vari elementi che lo compongono. Lo stesso sacco-stomaco che li ha accolti, con i movimenti peristaltici, li spingerà verso il basso per continuare la digestione, esprimendosi anche con una funzione al maschile.
Nelle funzioni al femminile – come nella terra – è insito l’aspetto di ricettività, disponibilità, accoglienza e nutrimento di tutte le istanze divergenti, in un processo che consiste nell’accogliere ciò che la vita dà e nel portare a compimento la soggettività di ogni ente che è seminato. La terra non valuta e non giudica, ma produce ciò che vi viene seminato, la sua funzione è quella di rendere visibile la diversità di quel che costituisce l’universo e di contribuire a farlo dialogare per creare altro. Mentre nella cultura cinese il concetto di Terra è complementare a quello di Cielo, in quella mediterranea il concetto di Grande Madre è complementare alla forza generativa e propulsiva dell’Archetipo Maschile. Le qualità generali della donna sono tratte dai miti, dalla storia delle religioni, dai simboli collettivi, dove il femminile è considerato alla pari del maschile, attraverso qualità complementari e non oppositive. Le caratteristiche delle modalità Animus e Anima indicate dal biologico, sono archetipi da rispettare non solo in ogni organo e funzione, ma anche nella gestione del corpo di uomini e donne.
Quando l’umanità, incapace di dare il giusto valore alla complementarietà degli opposti, ha fatto prevalere prima uno poi l’altro, sono nate le confusioni della Babele dei linguaggi umani e, ancor prima, una comunicazione avvelenata e distorta tra le funzioni interne al nostro corpo. La complementarietà degli opposti è necessaria all’esistenza di ogni forma di vita; ci parla di un divino che è allo stesso tempo padre e madre, è Uno.
La ricettività dell’archetipo del femminile non è la base per concedere la disponibilità al primato del patriarcato, così come la forza e la determinazione dell’archetipo del maschile non sono un’autorizzazione alla prepotenza. Queste riflessioni non seguono la logica dell’Io improntata al relativismo, ma sono un tentativo di mettere al centro l’archetipo del femminile e di lasciarlo parlare, secondo il metodo dell’Ecobiopsicologia. Un’umanità sganciata dall’archetipo ha prodotto danni collettivi. Se oggi siamo arrivati a comprendere che tutto l’universo, tutta la vita è considerata un intreccio di questi poli opposti, è evidente che dimenticando uno di essi, separandolo dal suo complementare, si avranno tradimenti dell’archetipo tali da produrre notevoli distorsioni.
Abbiamo visto come una cultura eccessivamente dominata dall’archetipo maschile ha portato alla logica della competizione, al pensiero razionale, al possesso; se questa logica è bilanciata dall’archetipo del femminile all’interno del binomio uomo-donna, così come in tutte le relazioni umane, sociali, religiose e, non ultime, quelle della biosfera, ciò comporterà il recupero di una tendenza a considerare il sistema vita in termini olistici, intuitivi e non competitivi ma integrativi di tutte le potenzialità della vita.

 

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